mercoledì 7 marzo 2018

Anna Pasquini - Zero figli

Mi chiamo Benedetta ho trentanove anni e ho zero figli. Sì, preferisco dire che ho zero figli piuttosto che dichiararmi senza o iniziare la frase con una negazione: “non ho figli”, perché sia la parola “senza” che la negazione, fanno sembrare che io sia mancante, incompleta. Cosa di cui, badate bene, io non mi sento assolutamente. Eppure sembra che là fuori le persone mi vedano così. E a quanto pare sembra che ormai il mio tempo sia finito. Come se abbia un tagliandino di scadenza proprio dietro la schiena, che vedono tutti tranne me. Prima alle visite mediche di controllo, tra le varie domande mi veniva chiesto: “Ha figli?” tempo verbale: presente, dallo scorso anno un radiologo da cui andai per un’ecografia pelvica, mi ha chiesto “Ha avuto figli?”, dal presente siamo balzati al passato prossimo, così, d'emblée, senza che nemmeno me ne sia resa conto, eh sì che dalle ultime statistiche le mamme over quaranta sono molto più delle under trentacinque, ma tant’è. L’anno scorso, era gennaio, la signora alla Reception di un hotel fronte-mare dove ero andata insieme al mio compagno per festeggiare il mio compleanno, alla domanda: “C’è molta affluenza alla spiaggetta qui di fronte in estate?”, mi son sentita dire: “Per le coppie senza figli come voi forse è più indicata la spiaggia più infondo”. Avrei voluto risponderle “Grazie, peccato che sono incinta!”, così, tanto per contrariarla. Il punto è che non sono contraria all’avere bambini, ma nemmeno sono una di quelle donne che si sentono realizzate solo nell’averne. Sono arrivata a trentacinque anni senza averne avuti, i miei ex non mi hanno messo incinta (e per fortuna, visti i tipi), né nessuno di loro mi ha chiesto di sposarlo o di mettere su famiglia. A trentacinque anni incontro l’uomo meraviglioso con cui sono fidanzata oggi, ci frequentiamo un anno, e in quest’anno facciamo un milione di cose: viaggiamo, andiamo a teatro quasi tutte le sere, conosciamo le nostre interiorità, e andiamo a convivere. Poi mi offrono un’occasione lavorativa importante e di responsabilità, che però mi occupa molto tempo, la cosa mi inorgoglisce e ad ora ringrazio ancora il Cielo o la mia buona stella per le cose meravigliose che mi sono accadute. E questo è quanto. Ecco perché non voglio cedere alle ansie altrui, che mi vogliono mamma prima che sia troppo tardi, i figli non si fanno perché è arrivata l’ora, né si fanno perché e se poi ti penti di non averne avuti? Questa poi…non capisco perché il pentimento debba essere sempre e solo in un senso, e nessuno parli della depressione post partum che nei casi estremi porta ad efferati matricidi. Sono casi estremi di malessere psicologico sicuramente eccessivi, ma mi piacerebbe che si prendessero in esame ambo le possibilità e non una soltanto.

Childfree, ecco come siamo definiti noi senza figli. Ecco come veniamo visti il mio compagno ed io. Il punto è che non lo siamo, o meglio, non so esattamente cosa siamo, non mi piacciono le etichette, le definizioni studiate ad hoc, mi ci trovo stretta, sono una persona troppo colma di cose per poter essere incorniciata in una definizione. Quello che posso dire è che noi ci limitiamo a vivere la nostra vita, senza precluderci nulla, ma i figli ad ora non sono nei nostri progetti, ecco tutto. Se venissero li accoglieremmo, ma non siamo nemmeno lì a spremerci perché arrivino a tutti i costi. Che poi chissà, magari le stesse persone che mi guardano con sospetto perché a trentanove anni ancora non ho un figlio, sarebbero ancora più critici nel sapere che lo aspetto da un uomo molto più grande di me. Perché tanto come agisci, agisci, c’è sempre qualcuno pronto a dare giudizi non richiesti, esporre sentenze. È l’era dei social, quella che ha dato modo a chiunque di dire qualsiasi cosa su qualsivoglia argomento, che come diceva Montanelli ha permesso a una marea di cretini di esprimersi a ruota libera. Ed ecco che ci si ritrova a dover spiegare e giustificarsi, perché alla mia età non avere figli è visto come qualcosa di atipico, che nasconde chissà quali misteriosi motivi, forse tare ereditarie? Insidiose malattie?  E allora giù, pietà negli occhi degli altri, oppure nel caso in cui si confessi di non volerli per scelta, ecco che si passa per dei mostri, come si fa a rinunciare ad una così importante e naturale fase dell’essere umano, la genitorialità? Un paio d’anni fa mi sono sentita dire da un conoscente che a trentasette anni ero troppo vecchia per pensare di diventare mamma, che ormai i giochi erano fatti e dovevo rassegnarmi.

Invece un’altra volta da una Proctologa da cui andai per un controllo, accompagnata come sempre dal mio compagno, questa si sentì in dovere di esprimere il suo parere, ci sentimmo dire che il nostro amore era troppo grande per tenercelo tutto solo per noi, che avremmo dovuto fare un bambino. Proprio così. Aggiunse che lei ebbe la sua prima ed unica bimba a trentanove anni e che il suo unico rammarico era non averne avuto un altro. E chissenefrega? Avrei dovuto dirle. Non ne ebbi la prontezza.  Anche in quella circostanza mi sentii invasa nella mia intimità. Ma la cosa che più mi dispiacque avvenne due anni fa, ad un seminario organizzato dalla mia azienda. Ero con due mie colleghe di poco più grandi di me, una mamma di due bambine e una di un bambino. Assieme a noi c’era una signora che in quell’occasione prestava servizio come hostess per il nostro evento. Era un ex insegnante di Tedesco e parlando del più e del meno ci disse che sua figlia trentenne aveva cinque figli. Cinque! Aggiunse anche che era laureata in Ingegneria e lavorava da alcuni anni in un’azienda. Io confesso che mi chiesi quanti giorni effettivi avesse lavorato una che aveva portato avanti cinque gravidanze, ma lo tenni ovviamente per me. Le mie due colleghe invece sembravano in estasi da quell’informazione, blateravano sulle prodezze di questa che ai loro occhi appariva come una supereroina, come se partorire fosse di per sè un merito, e non una cosa naturale nella vita di una donna che sceglie di viverla, e poi una di loro, quella con un solo bimbo se ne uscì cosi: “Mamma mia, io ne ho solo uno…mi sento inutile”. Era una battuta chiaro, ma l’ha esternata così. Esattamente così. Il fatto che lei avesse partorito un solo bambino, anche se ironicamente, la rendeva “inutile”? Grata al mio Ego per essere ben strutturato, evitai di rispondere o esprimere qualsivoglia commento, ma nei giorni a seguire non ho potuto non riflettere su questa frase. “E’ così che a noi senza figli ci vedono le donne madri? Degli esseri inutili? L’utilità di una persona è data dal quantitativo di bambini che questa mette al mondo, possibilmente tra i due e i tre, grazie? E poi è giusto attribuire alla maternità una qualche utilità? A chi sarebbe utile? Ai bambini? Alle mamme? Non ho ancora trovato una risposta a queste domande. Ma certo non mi sento inutile, né mi sentirei più utile se facessi una valanga di ragazzini. Credo che anzi l’utilità non abbia proprio nulla a che fare con l’essere madre, credo che dare alla luce un bambino sia un reale gesto d’amore e un dato progetto di coppia, che debba nascere dalla volontà di entrambi i componenti della coppia, e dalla loro scelta, libera e incondizionata. Perché avere un figlio per far contento qualcuno, sia esso il proprio marito, la propria moglie, i genitori, i suoceri, la società, non è mai una buona cosa. E poi credo anche che se un domani avrò un figlio, di certo gli insegnerò a rispettare ogni singolo individuo e la sua libertà di essere e compiere scelte autonome.

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