venerdì 16 giugno 2017

Bruno Bianco - Costruire

Ho costruito il mio sogno. E’ stata lunga e difficile, ma alla fine ce l’ho fatta. Com’è lontano l’inizio; frequentavo le scuole medie ed ero il primo della classe. Mia mamma era contenta quando andava a parlare ai professori e faceva il pieno di complimenti; poi veniva a casa, riferiva tutto a papà e lui quasi si commuoveva. 


Però in terza media i professori avevano detto: “E’ un ragazzo intelligente e volenteroso, non deve fermarsi presto. Fategli fare il liceo e poi l’università; vedrete che vi darà delle soddisfazioni”. Io li avevo sentiti i miei parlare tra loro: “Il liceo, l’università; così non finisce più di studiare. Riusciremo a farcela?”. Sì, perché uno stipendio da vigile del fuoco era veramente poco per mantenere una famiglia di quattro persone. “Al massimo vendi il pezzo di terra; tanto ti dà solo del lavoro e non rende niente” diceva mia mamma e mio papà rispondeva di sì, anche se perdere quel pezzo di terra gli sarebbe dispiaciuto veramente tanto. Ma io ho costruito il mio sogno. Il liceo se n’era andato nella massima scioltezza e aveva lasciato 60/60 e l’iscrizione a ingegneria; a quel punto bisognava arrivare fino in fondo, stare in collegio a Torino e accollarsi spese da non poco. Studiavo giorno e notte, sabato e domenica; passavo gli esami come un rullo compressore, con quella voglia mista a rabbia di chi vuole arrivare alla fine , bene e presto. L’università aveva lasciato una laurea con 110/110 e la cartolina precetto; ancora un anno fermo. Ma ho costruito il mio sogno. Durante il servizio militare avevo superato l’esame di stato e fatto un’infinità di colloqui presso un’infinità di aziende; così il giorno dopo il congedo iniziavo il mio primo lavoro e dopo un mese prendevo il mio primo stipendio. Non è facile il mondo del lavoro, non è facile l’industria; devi sgomitare se vuoi fare carriera, devi fare e imparare da solo perché nessuno ti regala niente, nessuno ti insegna niente. Ma ho costruito il mio sogno. Ho cambiato lavoro una volta e poi un’altra ancora; ogni lavoro nuovo voleva dire stipendio più alto, maggiori responsabilità, migliori prospettive. Poi ero disponibile a viaggiare e in pratica dormivo sempre con la valigia vicino al letto; lunghi soggiorni prima in giro per l’Italia, poi per il mondo. Ero diventato un dirigente di un certo peso, giovane, ma ormai decisamente lanciato.
Poi quell’anno, nella solita settimana di vacanza insieme a Lucia, la mia fidanzata, quel manifesto appeso proprio sulla passeggiata lungomare di Finale Ligure. “Cercasi custode per la sede della Croce Verde. Si offre appartamento di quattro vani, servizi e garage e possibilità di gestire il circolo”. Non so quale fu la molla. Forse il pensiero della valigia perennemente vicino al letto, magari quel mal di fegato che ti prende tutte le volte che l’amministratore delegato verifica i conti e getta palate di letame su tutti i dirigenti o forse perché tanto lo sai che se vuoi fare sempre più carriera ogni cinque-sei anni devi cambiare lavoro, ricominciare da capo, aumentare le tue responsabilità e quindi le tue rogne. O forse perchè io e Lucia eravamo un po’ stufi di fare i fidanzatini perenni e ci piaceva darci un’inquadrata, ma dove lo troviamo il tempo di cercare una casa e i mobili, di fare tutti i preparativi. Insomma, alla fine siamo andati alla sede della Croce Bianca e abbiamo lasciato i nostri dati; quel volontario ha accennato un sorriso quando gli ho detto che ero ingegnere. Certo deve aver pensato che io fossi uno di quei dottori da quattro soldi con un pezzo di carta in mano, ma senza alcun tipo di capacità; io però non me la sono presa più di tanto e ho costruito il mio sogno.
Sono passati tre anni da allora e sono qui nell’appartamento di quattro vani, servizi e garage al piano superiore di una palazzina vicino al centro di Finale Ligure; al piano terreno i volontari della Croce Verde fanno i loro turni e nel piazzale davanti le ambulanze sono sempre schierate pronte per ogni evenienza. Durante la bella stagione il mattino mi alzo sempre prima delle sette e vado sulla riva dove arrivano i pescatori; poi passo in panetteria a prendere la tipica focaccia ligure e ritorno da Lucia che mi aspetta per la colazione. Insieme andiamo ad aprire il circolo; “Circolo dell’ingegnere” l’ho chiamato, giusto perché non si dica che ho sprecato la laurea. Il primo cliente della giornata è sempre Ricu, un vecchio pescatore con la pelle così secca che sembra vere cent’anni e non è escluso che li abbia davvero, ma ha la lucidità di un giovanotto; è sempre suo il primo cappuccino e io gli faccio compagnia mentre sfogliamo le pagine sportive del Secolo XIX, dove si parla del Genoa.
Devo ammetterlo, solo tre anni e mi sento ligure dalla testa ai piedi; tifo per il Genoa, parlo il dialetto quasi con l’accento giusto, mi intendo di pesca e ho anche imparato a pestare il basilico con il mortaio. D’altronde non poteva essere diversamente, sempre in mezzo a loro, a giocare con i volontari della Croce Verde, a portare caffè, panini e aranciate ai clienti del circolo, a bazzicare per i negozietti di Finale; in inverno, quando i turisti non ci sono più, noi finalesi ci riappropriamo delle vie del centro, ci fermiamo sulle panchine a chiacchierare, a discutere se il Genoa riuscirà a tornare in serie A.
Ieri sera Lucia mi ha detto che le sarebbe piaciuto avere un figlio e io ho risposto che sarebbe piaciuto anche a me ; ce lo siamo detto senza tanti fronzoli, come credono si dicono queste cose una qualunque coppia di liguri. Tra il serio e lo scherzoso ho preso un pezzo di carta e mi sono messo a fare due conti. “Mi piacerebbe che nascesse a metà di settembre”, le ho detto. E’ il momento più bello dell’anno, quando i bagnini iniziano a smantellare le spiagge; restano pochi ombrelloni, i pedalò sono spostati lontano dalla riva e i pochi turisti rimasti passeggiano sul bagnasciuga. Perché se vuoi sentire il rumore del tempo che passa devi venire qua a metà settembre; l’acqua che ti bagna i piedi mentre passeggi, il bagnino che ritira gli ombrelloni, i pedalò che strisciano sulla sabbia mentre vengono trascinati fin verso la passeggiata.
Allora io apro il circolo, saluto Ricu e ci mettiamo a parlare della campagna acquisti del Genoa. Ed è proprio in quel momento che io concretizzo il mio sogno.
E’ in quel momento che io costruisco il mio amore.

Nessun commento:

Posta un commento