sabato 27 maggio 2017

Ivana Saccenti - Il contratto

“Cosa vi porto da bere?” chiede il cameriere, finalmente al nostro tavolo.
E’ un ragazzino smilzo, smunto, con due orecchie da Dumbo.  Sembra capitato qui per caso. L’avevo già notato vagare disorientato e confuso tra i tavoli, sbagliando la consegna di un paio di pizze. E’ infilato in una giacca nera, almeno due taglie più della sua. La manica, fino alle unghie, gli intralcia la scrittura sul taccuino, per cui, con un tic ossessivo, alza meccanicamente il braccio destro nel tentativo inutile di farla risalire.


“Una Becks e una bottiglia d’acqua.”
“La Becks … non so se c’è…devo chiedere”.
 “Se non c’è la Becks, mi porti quello che c’è” taglia corto Pietro.
“Avete già scelto le pizze?”
“Sì, per me una quattro stagioni, e tu Anna?”
“Per me una Napoli.”
 Incerto, prende nota.
“Per le pizze c’è un po’ da aspettare, c’è tanta gente.”
“Allora intanto portaci una focaccia con lardo.”
“Una focaccia... prima della pizza?”
“Sì, prima della pizza” conferma Pietro, spazientito.
“OK, grazie, vi porto subito da bere” e si allontana con aria poco convinta. Mentre controlla l’ordine sul taccuino, inciampa in una sedia.
Nel locale sono tutte coppie. E’ San Valentino.
Pietro l’invito me l’ha fatto ieri sera.
 “Cosa ne dici domani di andare a prenderci una pizza?”, ma vista la mia espressione minacciosa, ha subito aggiunto: “tranquilla, senza l’obbligo di sentirti far parte dell’esercito degli innamorati, s’intende”.
Ci frequentiamo da alcuni mesi e ammetto che, nelle condizioni in cui sono, non avrei potuto trovare di meglio. Vengo da una lunga storia finita un anno fa, di quelle che sembrano scritte apposta per noi donne, per ferirci a morte.
Ne sono uscita con le ossa rotte, anzi frantumate. Del mio cuore non ho notizie. Chi l’ha visto?  Pietro sa delle mie ferite e le rispetta, con pazienza e comprensione. Ma ha messo subito in chiaro una cosa: non sarà suo il compito di curarmele. Un po’ mi aiuterà il tempo, ma per il resto dipenderà da me. L’accordo è: aspettare. Ho bisogno di tempo per vedere se i pezzi rotti si possano rimettere  insieme per tornare la Anna di qualche anno fa, per capire se il mio cuore ha ancora energia vitale, se c’è spazio per Pietro nella mia vita.    
“Ecco l’acqua e la birra” annuncia il cameriere, con un vassoio in bilico, traballante sul palmo della mano, “e questa è la focaccia”.
“Manca il lardo” faccio notare.
“Ah già, ho dimenticato il lardo!” mentre le sue orecchie da Dumbo si sono tinte di bordeaux. “Ve lo porto subito”.
 “Speriamo che la serata sia meglio del cameriere!” commenta Pietro e ci facciamo una bella risata.
“Ti piace il locale? Ci sei mai stata?”
“No, non lo conoscevo. E’carino.”
 Il camino acceso fa atmosfera.
 Attorno, tra i tavoli, va in scena una commedia che ho già visto e recitato troppe volte.  Le candele rosse accese, a forma di cuore; una mano appoggiata sul tavolo che accarezza l’altra; sguardi dolci; discorsi teneri… Basta, io ho già dato!  Pietro lo sa. Tra noi, stasera, niente di tutto questo.
La serata scivola via, piacevole. La focaccia con il lardo è ottima, veramente gustosa la pizza, desiderata per quasi un’ora, leggera e divertente la conversazione. Pietro in questo ci sa fare. Affronta i discorsi, quelli importanti, con delicatezza e arriva al nocciolo con cautela, lasciando che trovino spazio le mie considerazioni e conclusioni.
E’ quasi mezzanotte. I tavoli cominciano a svuotarsi.
Entra un ritardatario. E’ solo. Mi passa in fianco e, col suo cappotto nero, lungo, lascia un leggero fruscio. Prende posto proprio di fronte a me, alle spalle di Pietro.
“Nooo! Non ci credo! E’ proprio lui?”
I nostri sguardi si incrociano. Il mio, angosciato e interrogativo. Il suo, beffardo.
Mi assale un disagio ingombrante.
Bevo l’ultimo sorso di acqua, nel tentativo goffo di nascondere col calice,  agli occhi di Pietro, il mio turbamento.
“Anna, qualcosa non va?”
“No, no, tutto bene. Solo un po’ di mal di stomaco.”
I camerieri passano e ripassano davanti al ritardatario ignorandolo completamente. Nessuno gli chiede cosa desideri. Riordinano il suo tavolo: cambiano tovaglia e tovagliolo, mettono  piatti, posate, bicchieri puliti. Il tutto, come se lui non esistesse.
Mi fissa.
Finalmente si alza. Infila il cappotto nero e se ne va. Quando mi passa in fianco, si abbassa e mi sussurra in un orecchio: “Ti aspetto fuori.”
Pietro, come i camerieri, non fa una piega. Sembra non vederlo.
Trovo la scusa più banale: “Vado un attimo in bagno.”
Esco. Lui mi aspetta nel piazzale. La sigaretta accesa.
“Si può sapere cosa ci fai qui? Sei impazzito?”
“Sono venuto al nostro consueto appuntamento dopo la mezzanotte.”
“Certo. Però a casa mia, a letto, quando non riesco a dormire. Non qui, a violare la mia privacy.”
“Scusa, fammi capire, ma tu non eri quella distrutta, col cuore a pezzi, che un’altra storia mai più? E adesso invece ti trovo qui, a festeggiare San Valentino. Già la parola “santo” per me è fumo negli occhi. Figurati poi questa pagliacciata della festa degli innamorati…Ma ti rendi conto?”
“San Valentino è solo un caso. Avevamo voglia di cenare insieme, e siamo usciti.”
“Non sarei troppo sicura Anna, se fossi in te. Da cosa nasce cosa, e potresti ritrovarti un’altra volta con una bella scottatura. Lascia perdere, dammi retta, vieni via con me.”
“Sono sicura di Pietro. Con lui potrei riprovarci. Lui mi lascia tutto il tempo di cui ho bisogno per capire bene. Per te è facile dimenticare che le persone hanno un cuore e un’anima.”
“Per carità! Lascia stare il cuore. Quello ha già abbastanza da fare per tenersi in forma, altro che pensare all’amore, ai sentimenti.  Per quanto riguarda l’anima invece….è proprio di questa che ti voglio parlare. Cara Anna, in tutte queste sere te l’ho spiegato e rispiegato, ma tu non hai ancora capito. L’anima è una zavorra, un peso inutile di cui liberarsi. Devi disfartene, lasciarla andare, vedrai come ti sentirai meglio, più leggera, più libera.”
“Ah certo, la fai facile tu. Disfarsi dell’anima? E come?”
“Semplicissimo! Sono qui per questo. Io sono il miglior acquirente di anime.
Tu la vendi, io la compro. E’ un normale contratto di compravendita. Sapessi quante cose posso proporti in cambio!  Che ti faranno star bene! Vieni via con me e vedrai. Ti stupirai. Altro che l’amore. Anna, l’amore è solo una scusa per non rimanere sola. Seguimi, non avrai più bisogno di innamorarti. Non sarai sola, non hai idea di quanta gente si è fidata di me, ha firmato il contratto e si è liberata della zavorra.”
Non ribatto. Certo, la proposta è allettante…Gli lancio un’occhiata diffidente. Appoggiato al cofano dell’auto, le mani sprofondate nelle tasche del cappotto nero, mostra un ghigno di sfida. L’ultimo pezzo di sigaretta gli è rimasto incollato al labbro inferiore. Il fumo gli sale fino agli occhi, diventati due fessure.
Guardo verso il ristorante. Là dentro c’è Pietro seduto, solo, ad aspettarmi.
Pietro sa aspettare.
 Giro i tacchi, faccio qualche passo, entro e torno al mio posto.
 “Tutto bene, Anna?”
“Sì, sì, tutto a posto.”
“Bentornata! C’hai messo un po’. Comunque, ti stavo aspettando.”





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