giovedì 21 maggio 2015

Francesco Palermo - È arrivata la prima neve…

            Era l’inverno di tre anni fa. Quando arrivò la prima neve nessuno fu colto di sorpresa: da almeno vent’anni, nel nostro paese, non mancava la neve a tingere di bianco i nostri tetti e i nostri alberi e a raggelare i cuori di tutti. Quanto era gelido l’inverno nel mio cuore, quell’anno!
            <<Ti aspetto questa sera, non mancare, vedrai che ci divertiremo!>>, mi gridò al telefono Roberto, quasi ad intimarmi un impegno senza possibilità di scampo. <<Non ti prometto niente ma ti ringrazio per il pensiero che hai avuto. Sai…è un periodo che non mi va poi tanto di vedere gente…>> risposi con un filo di voce spenta, quasi a voler raffreddare l’entusiasmo, per la verità praticamente perenne, beato lui!, del mio amico d’infanzia. <<Ma senti un po’ che stronzo!...>>, mi  rispose, ancora con un tono di voce alto, ma questa volta per l’arrabbiatura e non certo per l’entusiasmo, <<…io l’ho sempre considerato il fratello che non ho mai avuto e lui mi considera “gente che non ha voglia di vedere”! Bell’amico che sei! Complimenti, veramente!>> incalzò, inchiodandomi davanti al muro della mia apatia. E della mia antipatia!
            Non era per me un periodo brillantissimo. Avevo sempre le pantofole ai piedi. E prima ancora al cervello. Nel continuo e vertiginoso saliscendi della mia vita stavo forse toccando il fondo, alla ricerca continua di una pausa dal mondo. Il mio amico lo sapeva, ne avevamo parlato più volte, e forse proprio per questo ero stato uno dei primi invitati a quella festa. Conosceva benissimo il mio stato d’animo ma evidentemente avevo esagerato, ero stato troppo scortese. <<Non mi hai fatto finire…intendevo dire che non sono nelle condizioni di conoscere gente nuova. Presenterei di me un’immagine peggiore di quella che già mi appartiene!>> dissi cercando di placarlo con un tentativo, mal riuscito, di essere fintamente auto-ironico.
            Sin dai tempi del liceo ero sempre stato un po’ invidiato dai miei compagni per il successo che ottenevo, senza sforzo alcuno, con le ragazze che mi capitavano a tiro. A trent’anni non avevo perso assolutamente niente, a parte qualche capello. Anzi! Le due/tre ore settimanali del mio tempo libero, passate tra piscina e palestra, avevano reso meno fragile e immaturo il mio corpo di adolescente. L’aver ottenuto una laurea in giurisprudenza in modo brillante e le mie già buone affermazioni in campo professionale mi avevano dato quella sicurezza che forse non sempre ero riuscito a dimostrare negli anni dei miei studi liceali. Insomma, dopo essere stato ritenuto “un bel ragazzo” oggi ero esplicitamente definito, da molte delle donne che mi capitava di conoscere, “un uomo molto interessante”. Se c’era un’immagine che molti avrebbero voluto avere, quella era proprio la mia.
            <<Va bene, faccio finta di non aver sentito, anzi di non averti neanche chiamato. Tu fai finta di aver saputo della festa da qualcun altro. Poi fai come credi. Se decidi di venire sappi che ti concederò di aprirti la porta!>> mi rispose Roberto, ancora evidentemente risentito. Non ebbi il tempo di un altro tentativo di placarlo che interruppe la comunicazione telefonica. Mi sembrò quasi di vederlo lasciar cadere la cornetta del suo telefono fisso da una mano e mandarmi a quel paese con un gesto dell’altra. Passai il resto della mattina e il primo pomeriggio a cercare nei meandri nascosti della mia fantasia un’altra scusa, un possibile, soprattutto credibile, contrattempo occorsomi all’ultimo momento per giustificare, con una telefonata a Roberto, la necessità di declinare il suo invito. Niente! Tutto mi sembrava maledettamente ed evidentemente falso e rabberciato! Avevo paura di offendere, ancor più di quanto avevo già fatto, il mio amico, l’unico vero che mi era rimasto ad aver ancora voglia di ascoltare le mie pesanti e, per i più, ormai insopportabili litanie di uomo tradito.
***
            Avevo investito troppo nel rapporto con Federica. Non era facile cancellare cinque anni e mezzo, di cui gli ultimi tre di convivenza, di una storia tutto sommato felice. Finché era durata! Fino al giorno maledetto in cui, durante una passeggiata, mi trovai a guardare attraverso la vetrina di un bar una coppia seduta ad un tavolino davanti a due aperitivi. Lei era seduta quasi di profilo e mi incuriosì subito perché aveva gli stessi capelli lunghi e biondi di Federica. A un certo punto, dopo che insieme avevano sorseggiato il loro aperitivo, lui le mise una mano tra i capelli, scoprendole metà viso, per avvicinarla a sé e baciarla. Era lei.
            L’impulso fu quello di sfondare la vetrina, per raggiungerli prima e…Invece m’imposi di frenarmi, girai le spalle al bar come se la cosa non mi riguardasse, tornai a casa, la nostra casa, camminando lentamente come un automa fino alla metropolitana. Dopo venti minuti ero a casa a preparare le mie cose. Per anni al centro del fiume in piena mi ritrovavo alla deriva. A reinventarmi. Non ebbi bisogno di spiegazioni. Anzi non le volli! Forse le temevo.
***
            Alle 19,00 ero già pronto per uscire di casa per recarmi da Roberto. La lunga e calda doccia che avevo fatto non era riuscita a scaldarmi più di tanto. Fuori faceva veramente freddo ma io ero ancora nel tepore della mia casa, sprofondato nel divano vicino al camino. Come nel baratro della mia disperazione, a percorrere un passato senza l’immagine di un futuro.
            Trascorsi quasi un’altra ora a fare zapping col mio telecomando solo per far passare il tempo. Non volevo arrivare il primo a casa di Roberto per sfuggire al suo probabile incalzare di rimproveri. Quando, verso le 20,15, suonai alla sua porta e lui mi aprì accogliendomi con il suo solito sorriso e con un abbraccio più affettuoso del solito ebbi la certezza che mi aveva già perdonato. Ne fui rinfrancato.
            Una composita ventata di profumi maschili e femminili e di odori di cocktails e pizzette mi avvolse insieme alle note di un gradevole sottofondo musicale che consentiva benissimo ai gruppetti di ospiti, formatisi nell’enorme salone in stile moderno di Roberto, l’intimità dei loro colloqui. Il fuoco che scoppiettava allegro nel grande camino dell’angolo destro della parete di fronte fu la prima cosa che richiamò la mia attenzione, e subito dopo, appena accanto, notai una ragazza dall’età apparente di venticinque/trent’anni anni, stupenda senza essere appariscente, dallo sguardo assente, che in quel momento parlottava con un collega di Roberto.
            I capelli neri, corti, le mettevano ancor più in evidenza il suo bel volto pulito, e le lasciavano scoperto il collo sottile e la pelle leggermente abbronzata. Guardando di tanto in tanto verso di lei mi avvicinai al tavolo degli aperitivi, chiacchierando con Roberto e con un paio di suoi amici cui mi aveva presentato. Per la verità prestavo la minima attenzione richiesta dalla banalità dei loro discorsi. I miei sforzi, intellettuali e fisici, erano invece diretti ad incrociare lo sguardo, che continuavo a percepire poco presente, di quella sconosciuta che mi aveva colpito. Ci riuscì più volte, almeno così mi illusi. Ma il mio narcisismo rimaneva ferito dal notare che gli occhi di lei sembravano continuare a perlustrare il salone come se io non ci fossi. Sembrava che il suo sguardo scivolasse su di me senza “toccarmi”. Il mio famoso fascino stava probabilmente venendo meno! O, forse, si era già sparsa la voce che dentro un discreto involucro c’era, in questo momento, solo un uomo antipatico e arido!
            Dopo una buona ventina di minuti di schermaglie di sguardi, troppo interessati i miei e troppo distratti i suoi, afferrai due bicchieri del cocktail leggermente alcolico che avevo già assaggiato e mi avvicinai lentamente a lei, porgendogliene uno, con fare da navigato conquistatore: <<Ho notato che non si è mai alzata a prendere qualcosa…posso offrirle io un bicchiere di…>>. Non ebbi il tempo di finire che aveva già allungato il braccio verso il bicchiere: <<Grazie, è molto gentile da parte sua>>, rispose con fare un po’ incerto della sua mano destra, cercando il bicchiere. In quel momento ebbi un’intuizione. Forse in ritardo. Sicuramente la manifestai con troppo anticipo rispetto ai tempi di una conoscenza che non era ancora arrivata alle presentazioni.
            <<Sei cieca?>>, le chiesi brutalmente. <<Sì, sono cieca. Lo sono diventata a 20 anni!>>, mi rispose con un largo sorriso, <<E’ la prima volta che qualcuno me lo chiede senza giri di parole. Nessuno dice “cieca” in mia presenza. Grazie molte…veramente!>>. L’avverbio, aggiunto alla fine ed accompagnato da un sorriso ancora più solare che non poteva che essere sincero, mi fugò ogni dubbio che potessi averla ferita. Anche un breve sorriso può essere eterno.
            Con Rossella parlammo tutta la sera, con la semplicità serena e il piacere intimo di una chiacchierata tra buoni amici di vecchia data, ma anche con la reciproca voglia di conoscersi di due persone che si piacciono da subito. Perché l’affinità è nell’anima.
            Ci sono serate corte e serate lunghissime. Quella trascorse velocemente, troppo velocemente, e alla fine, nel salutarci, mi venne spontaneo abbracciarla teneramente. Ritrovai emozioni fanciulle. Lei mi corrispose. Fu come se due anime si compenetrassero in un’intimità di pensieri e di corpi. Fu l’inizio.
            Ci rincontrammo, su suo invito, il pomeriggio successivo per un piacevolissimo the caldo. E poi il giorno dopo…e tanti altri ancora. Continuammo a raccontarci ogni volta pezzi di noi, io della mia storia appena finita, lei della sua retinite pigmentosa, scoperta a quattordici anni, che l’aveva progressivamente costretta a riorganizzare la sua vita. Era molto tenera nel suo raccontare intenso. Ma la sua era la storia di una donna dal carattere fortissimo. La scoperta della malattia, ancora ragazzina, con tutti i problemi di quell’età, avrebbe potuto distruggere chiunque. Lei, invece, dopo un brevissimo periodo di smarrimento, aveva reagito. Aveva cominciato, senza perdere tempo, a imparare l’uso del braille e quello del bastone. Arrivata a diciotto anni, mentre la malattia le spegneva, ogni giorno di più, il sole negli occhi, aveva scelto con cura la facoltà più adatta, così come aveva fatto, da subito, con le attività sportive. Soprattutto, da subito, imparò a prendersi dalla vita tutto quello che i cosiddetti “normali” neanche riescono a vedere e capire, a gustare il sapore delle piccole felicità. Nella nostra epoca, l’epoca dell’immagine, riesce difficile immaginare privazioni maggiori della vista. Facciamo fatica a capire, noi “normali”, che la vita è fatta di molto altro. Ma lei non è normale. È super!
            Chissà!? Mi chiedo ogni giorno se sarebbe mai diventata la persona eccezionale qual è se non avesse dovuto confrontarsi con la malattia! E se invece la malattia avesse colpito una ragazza più insicura, meno determinata, che donna sarebbe diventata? Non certo la donna meravigliosa che oggi è Rossella, la mia donna.
            Da tre anni viviamo insieme, praticamente inseparabili da quella sera a casa di Roberto. Mi sono sembrati speciali. Ma non sono mai gli anni o i giorni ad essere speciali. Speciali sono le persone con cui li viviamo. Come Rossella. Anche quest’anno è arrivata la prima neve. Ogni anno mi sembra sempre più bianca. Sempre più bella. Ed è per questo che non mi stanco di continuare a descrivergliela…

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