lunedì 2 giugno 2014

Sara Brugo - L'ultima frazione

Lo schiocco dello starter ha cavalcato l’aria e mi è esploso nel cuore; sento i battiti accelerare e spingere nei miei timpani.
Io sono già qui, sospeso nel tempo. Aspetto.
Qualcuno laggiù ha già iniziato a correre, a dilapidare quel gruzzolo di secondi nei quali si esaurirà questa gara.
Poco meno di un minuto e tutto acquisterà un significato necessario ed inevitabile: gli allenamenti che hanno plasmato i nostri muscoli, trasformandoli in generatori di potenza, e levigato i nostri tendini come corde tese di un violino, così pronti a reagire alla minima sollecitazione; le noiose sessioni tecniche, durante le quali abbiamo provato e riprovato partenze e cambi, cronometrato ogni istante, elaborato strategie; le dolorose sedute di fisioterapia per riabilitare qualche muscolo o legamento andati in tilt.
Oggi però, finalmente, la corsa è vera.
E io sono qui, nella zona di pre-cambio, un piede già avanti, con la mente proiettata verso il traguardo.
Non ci sono buoni pronostici per il mio team. Comunque, siamo arrivati fino a queste finali e so che tutti faranno la loro parte.
Non ho dubbi: ognuno concentrerà forza e volontà per percorrere la sua frazione come mai ha fatto, più veloce di sempre.
Questo è il momento del primo cambio: non occorre che guardi, lo so. Ho il ritmo di questa gara nelle gambe e nel sangue. Fatico a trattenermi, vorrei poter scattare. Mi sento come se avessi delle catene alle caviglie ma fossi consapevole che fra un istante i morsi si apriranno e potrò volare via, su questa terra rossa, guardando appena il nastro bianco che racchiude il mio spazio scorrermi via di lato, con l’unica mèta di quel filo di lana messo di traverso tra me e la vittoria.
Mi dondolo leggermente sulle gambe, avanti e indietro, il dorso già un po’ piegato in avanti.
Il tempo scorre via veloce, come succede sempre nella vita. Solo che qui sai quanto ne hai prima di partire. Quando nasci invece  nessuno ti dice quando devi incominciare a far sul serio; allora può darsi che ti perdi per strada e va’ a sapere se potrai giocarti il recupero.
Io sono stato fortunato, io una seconda chance l’ho avuta.
Mi hanno fermato una notte, perso dentro ai brandelli del mio sogno artificiale, con un ago piantato in un braccio. Hanno chiamato mia sorella che non vedevo da anni: mi ha abbracciato forte e  le sue lacrime mi hanno bagnato la t-shirt. E’ stata lei ad accompagnarmi in comunità tenendomi per mano: e lì ho ricominciato a ripensare a me stesso come ad una persona, ricordandomi di quando, bambini, andavamo a scuola e lei, più grande di me, mi lasciava andare solo sulla soglia della mia classe, consegnandomi alla maestra.
C’è stato il secondo cambio. Ho visto con la coda dell’occhio il testimone passare dal secondo al terzo frazionista: quell’anonimo bastone sembrava un ponte tra le mani dei miei compagni.
Meno di dieci secondi.
Entrare in squadra è stata una scommessa, più degli altri su di me che non il contrario. Io all’inizio ci ho creduto poco. Ci hanno creduto prima le mie gambe. E, quando ho iniziato a leggere la soddisfazione negli occhi del cronometrista, ho pensato che forse non ero così male. Allora anche la mia testa e il mio cuore hanno incominciato a crederci.
Siamo ultimi, non è una delusione, non è una sorpresa; la sorpresa è stata riuscire ad arrivare fino a qui.
Però la gara non è finita: Vittorio mi sta arrivando alle spalle veloce come un treno. L’ho appena intravisto ma lo conosco: il suo volto, nel penultimo tratto, sarà diventato una maschera dolorosa per lo sforzo e la tensione, le vene gonfie del suo collo sembreranno voler esplodere.
Inizio a muovermi. Prendo velocità. E’ incominciata l’ultima frazione.
Devo ricordarmi di quello che  mi dice sempre Job, il mio allenatore: “Adegua la tua corsa al tempo che ti rimane e non dimenticare che questa è una gara di squadra”.
No, non lo dimentico. Adesso, ad esempio, so di non poter spingere ancora troppo: devo aspettare Vittorio che mi sta raggiungendo nella zona di cambio, dargli il tempo per allungarmi il testimone. Sento la sua voce scandire l’hop che dà il segnale qualche istante prima di quanto me lo aspettassi. Forse abbiamo eroso qualche centesimo di secondo.
Il mio braccio si è proteso all’indietro, il palmo è aperto. Avverto appena la pressione del bastone ormai nella mia mano. Le dita si richiudono forti in una presa senza scampo.
Vedo schizzare in vantaggio davanti a me le due squadre favorite ma, nella corsia più interna, il cambio è appena avvenuto mentre io corro già libero verso il traguardo. Forse potremmo non accontentarci di un ultimo posto alle finali: chi ha fatto la gara prima di me ha speso tutto quello che aveva per rendere al meglio. Io dove fare lo stesso.
I miei polmoni si espandono e raccolgono tutta l’aria che possono contenere, i muscoli delle braccia e delle gambe si contraggono, i miei occhi non vedono altro che la linea dell’arrivo, nelle mie orecchie tutti i rumori si confondono.
Posso riuscirci. Sono l’ultimo frazionista e il mio tempo è quasi finito ma c’è ancora della forza che mi spinge. Non so da dove mi viene questa forza che è fuori e dentro di me: forse dalla mia testa, dagli allenamenti fatti, dal tifo pieno di gioia, meraviglia e speranza che i miei compagni stanno facendo.
Brucio le mie ultime riserve di energia nelle due falcate conclusive, supero gli staggi dell’arrivo ed improvvisamente, di schianto,  le mie ginocchia si piegano ed io cado a terra come un burattino al quale hanno tagliato i fili. Rotolo nella sabbia rossa che si mischia con il mio sudore. I miei gomiti e i miei avambracci raschiano il terreno e si coprono di sangue.
Alla fine, la mia corsa si ferma. Resto lì disteso con le gambe e le braccia aperte a guardare il cielo.
Il cuore pian piano riprende un battito normale ed iniziano a farsi nitide voci amiche: vengono a farmi festa per questo penultimo posto in una finale inattesa.
Mi trovo a pensare che momenti come questo nella vita sono rari. Provo una felicità  piena e neppure per un attimo mi sfiora il dubbio se tutta questa gioia me la meriti davvero: ho corso l’ultima frazione nel tempo che mi restava, ho corso l’ultima frazione mettendoci tutto me stesso e l’ho fatto non solo per me ma anche per i miei compagni di squadra.

 Sì, signori, questa felicità me la merito.

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