lunedì 2 giugno 2014

Roberto Pallocca - Alla fine della strada

«Non ho capito».
«Carlo sono tre volte che te lo ripeto!».
Sotto ai portici della piazza principale, Giacomo dà le ultime direttive. Sono le tre di notte, il cielo è coperto, niente stelle, la luna sbuca da una nuvola per sbirciare cosa sta accadendo.
Ci sono trenta persone, tutti uomini, divisi in gruppi ai due lati della piazza. Aspettano il segnale.
«Quando accendo questa torcia a led rossi, ci buttiamo tutti in mezzo, ok?».
«Ma in mezzo in mezzo? Non è pericoloso?».
«Carlo, maledizione, ne parliamo da giorni. Ora non è il momento di discutere. È in fondo alla strada, lo senti?».
«Sì, lo sento».
Alla fine della strada, fermo ad un semaforo, un ragazzo con un casco nero sgasa strepitante sulla sua moto di alta cilindrata.
«Ecco. Stanotte non la passerà liscia ‘sto bastardo».
Così dicendo, Giacomo passa a controllare che tutti gli altri siano al corrente di quanto accadrà. Passeggia sotto il portico più vicino, dà pacche sulle spalle, buffetti in testa, stringe mani, abbraccia persone che fino a un mese fa conosceva appena. Sembra un generale che attraversa le sue truppe alla vigilia di una battaglia decisiva. E ritempra gli animi più sconsolati, quelli più impauriti, quelli che ancora si stanno chiedendo se è davvero questa la cosa giusta da fare.
«Per me stiamo facendo una cazzata, Già».
«Ne abbiamo parlato a lungo, alle riunioni. Abbiamo deciso insieme. Ora non possiamo tirarci indietro, non credi?».
Giacomo passa oltre, attraversa di corsa la strada e raggiunge il portico di fronte, speculare al primo, dove altrettanti sono in attesa del segnale.
«Allora aspettiamo te, Già. Gliela facciamo pagare a quel bastardo».
«Sì, stasera pagherà per tutte le notti che ci ha rovinato. Ci faremo giustizia da soli».
A Giacomo piace l’atmosfera che c’è. Un’atmosfera solidale, o forse solo simile a qualche tipo di amicizia. Vive in questo piccolo paesino di provincia da quando si è sposato, trent’anni fa. Ma poche volte ha alzato il braccio per salutare, sorriso a qualche sconosciuto, preso un caffè al bar centrale. Mai ha organizzato qualche cena, o preso parte a comitati di quartiere, consigli comunali, associazioni, proloco, gruppi di preghiera o di un qualsiasi tipo di sport o attività.
Ha vissuto la sua vita a una distanza esatta dalla vita, per scelta o per necessità o per qualche assurda dinamica interiore che gli è sempre sfuggita di senno. Ha passato gli ultimi anni della sua vita da solo, laggiù, alla fine della strada, al primo piano dell’ultima casa prima del semaforo. Sua moglie se n’è andata in tre mesi, per un cancro al seno. Sua figlia in tre giorni, dopo aver compiuto diciott’anni, alla ricerca di se stessa in giro per l’Europa con un gruppo di artisti di strada. Lui è rimasto coi suoi 50 anni, il suo cane, la sua chitarra e le camicie sempre più sgualcite. All’epoca, diceva spesso a sua moglie che mancava ancora tanto per essere felici. Oggi a se stesso dice le medesime cose. Però poi, si ricorda felice quando sua moglie gli passava una mano sul petto mentre vedevano la tv, o sua figlia gli chiedeva di ascoltare la lezione di storia. Come funziona allora? Se prima era felice e non se ne accorgeva, può essere che lo sia anche ora? E se lo è anche ora, perché si sente diverso da prima? Quanti lati ha la felicità?
Non lo sa. Ma sono stati molti di più i giorni di silenzio, che gli altri. Forse per questo adesso sorride. Adesso è al centro di questa notte. Ha organizzato tutto. E lo cercano, hanno bisogno di una sua parola, di stimolo, di motivazione. È il capetto di questo gruppo di esaltati, e combatte la titubanza dei più restii all’offensiva con discorsi degni di un comandante di frontiera.
«Volete ancora, amici, che le vostre famiglie passino notti insonni? Volete che vostro figlio si addormenti sul banco di scuola e vostra moglie si schianti addosso a qualche palo mentre va a lavoro?».
Gli occhi di tutti sono addosso a lui. Le orecchie tese.
«Volete essere costretti a chiudere le finestre anche d’estate? Volete che un bamboccio in motocicletta decida quando interrompere i vostri sogni più belli?».
Quest’ultima frase suscita molto entusiasmo. Qualcuno accenna un piccolo applauso. Sono tutti con lui.
«Quando vedrete questi led rossi, tutti in strada».
Osservare la dedizione con cui ognuno cerca di fare ciò che gli è preposto, farebbe ipotizzare un antico rapporto di cooperazione. Un’associazione. Vecchi intenti perseguiti insieme. Invece no. Sta tutto in piedi da un mese appena. È successo in breve tempo.
Un giorno, Giacomo passeggiava lungo il corso e ha incontrato un conoscente. Parlando delle solite sciocchezze, è uscito fuori di come fosse diventato difficile dormire per quei poveretti che avevano la finestra della camera da letto sulla strada principale. Insomma, quell’uomo aveva notato una ciclicità preoccupante. Ogni notte, intorno alle tre, un clacson di motocicletta deflagrava in un unico e fastidiosissimo suono lungo quanto la strada. Si trattava con ogni probabilità di qualche bastardo che si divertiva in quel modo sciocco e sgradevole. Giacomo si stupì di aver notato la stessa identica cosa, senza però dare a quella ciclicità di orario un significato simile. Così iniziò a farci caso. E si rese conto che la puntualità di quel disturbo era esatta. Quasi imbarazzante.
Contattò quel suo amico e una sera andarono a mangiare una pizza insieme. Vennero anche due vicini di casa. Parlarono di cosa fare. Fu una bella serata. Giacomo non ne ricordava una così. Bevvero birra e parlarono di lavoro, di donne e di come a volte la vita sappia deludere ma senza mai rimuovere le radici. Magari recide il fiore, il bocciolo, persino il gambo e le foglie, ma le radici le concede sempre.
E in qualche modo si rinasce.
Così decisero di vedersi ancora. Qualche giorno dopo, stessa pizzeria. Ognuno aveva l’incarico di reclutare altre persone infastidite da quel maledetto clacson che la notte teneva sveglie le famiglie della via principale. Alla seconda cena erano in sei. Alla terza dodici. Dalla quarta in poi decisero di vedersi nel retro di un bar di proprietà di uno di loro, in una sala dove solitamente si giocava a carte. Si poteva parlare con calma, in un ristorante c’era troppa confusione e le tavolate numerose non erano ideali per confrontarsi.
Giacomo ha vissuto tutto questo periodo in apnea. Senza porsi questioni, domande, problemi. Ha avvertito solo di far parte di qualcosa, una volta tanto. E questo lo ha rasserenato.
La notte il clacson suonava. E quello sembrava l’unico elemento a giustificare quella serenità. Un rumore di notte che teneva insieme un gruppo di persone diverse, fino a qualche tempo prima sconosciute, o ostili. Un rumore che aveva creato rapporti.
E si accorse di provare qualcosa di simile all’apprensione. Giacomo arrivò a mettersi la sveglia qualche minuto prima delle tre. Per essere sicuro che quel clacson suonasse ancora, di nuovo. Per essere sicuro di sentirlo, e non sognarlo.
Di lì a poco, decisero di andare dai carabinieri. Tutti insieme. Scrissero un foglio, raccolsero firme. I carabinieri ascoltarono le lamentele, ma precisarono che serviva flagranza. Loro potevano mettere su un posto di blocco, fermarlo, chiedere i documenti, ma nulla più se non lo coglievano con il clacson strombazzante. Giacomo disse loro di mettersi nei loro panni, le loro mogli non dormivano più, i loro bambini piangevano. La loro vita era diventata una sciagura. Disse così, una sciagura.
Ci provarono una notte di quelle. Gli agenti si misero con la macchina appena dietro la curva. A sirene spente. Fermarono un paio di automobili. E aspettarono fino alle quattro passate, ma non passò nessuno.
La questione era semplice: il ragazzo in motocicletta era furbo. Passava la prima volta, in silenziosa ricognizione, e se avvertiva qualche minaccia, o sospettava qualche interferenza, se ne guardava bene dal transitare nuovamente. Andò così anche quella sera. Partì dalla fine della strada e lentamente percorse la via principale. Arrivato a metà, vide il muso di una macchina parcheggiata di sbieco, laggiù, nella piazza. Così imboccò una via laterale e sparì.
Giacomo e gli altri conclusero di lasciar perdere con le forze dell’ordine. E in una delle loro serate, delle loro riunioni, decisero di farsi giustizia da soli. A volte è il modo migliore. A volte non ne esistono altri.
Stanotte, in piazza, un gruppo di gente aspetta il motociclista per gonfiarlo di botte. Farlo sanguinare. Lasciarlo a terra. Bucargli le ruote della moto. Smontargli il clacson. Tagliargli la pelle del sedile. Rompergli i fari. Ognuno ha in mente il suo modo per fargli male. Non appena lui supererà l’ultima via laterale di fuga, loro gli si piazzeranno davanti. E non potrà far altro che fermarsi. Lì partirà l’assalto. Qualcuno ha portato bastoni, qualcuno un fazzoletto da mettere davanti al viso, qualcuno un cellulare con la fotocamera buona per far vedere alla moglie che ha un marito con le palle.
«Ricordatevi una cosa, è furbo. È scaltro. Il classico figlio di puttana».
Con uno sguardo Giacomo abbraccia gli occhi di tutti quanti.
«Prendiamoci il silenzio che meritiamo».
Ora la motocicletta è laggiù, al semaforo. Sgasa rumorosamente. Il semaforo scatta verde. E lui scatta in avanti, la ruota sgomma, il tubo di scappamento abbandona una nuvoletta di fumo grigio. Non va velocissimo, sembra godersi la strada. Appoggia il dito sul clacson e distende la schiena. Quel suono lo rilassa. Sembra goderselo. Sembra fare ciò per cui è al mondo.
In piazza è tutto pronto. Sono tutti fissi sui led spenti che Giacomo ha in mano. Lui tiene salda la torcia. E quegli occhi addosso gli sembrano vita. Si sente un pezzettino di qualcosa di più grande. Così dev’essere far parte di qualcosa.
Adesso non sa cosa gli prende. Il ragazzo è a metà della strada, e il suo clacson risuona senza pause tra i palazzi addormentati. Sono le tre. Esatte. Supera la via di fuga laterale. È il momento. Ora.
Giacomo si guarda intorno ancora una volta.
Il ragazzo si avvicina.
Giacomo pensa a domani notte, alle serate dietro al bar che si diraderanno fino a scomparire, a quando ordina due pizze a domicilio per lui soltanto così non paga il trasporto. Pensa al silenzio. E pensa che forse il baratto vale la pena.
Il silenzio della notte per il silenzio della vita.
La motocicletta attraversa la piazza, con eleganza, e si allontana.
Tutti lo guardano, si guardano, sui visi nulla che non sia una domanda: perché?

«Non era il caso. C’era gente affacciata alle finestre. Ci riproviamo domani. Alle due ci vediamo tutti qui, ok?». 

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