mercoledì 23 maggio 2012

Viviana Noce - Interno Notte


Seduto in un bar fumoso, a sorseggiare il solito caffè, senza pensieri.
Cercando qualcosa di insolito, da rimirare in solitudine, nel mio silenzio affollato di suoni.
Provando a concentrarmi sulla musica in sottofondo, estraniandomi dal vociare quotidiano di incontri casuali, a cui dare, inutilmente, peso.
Il brano pareva troppo malinconico per un locale anonimo, ma perfetto per chi, come me, inseguiva “qualcosa”.

“Resti immobile guardando i vetri che si sfumano e i miei passi che si perdono. Mordi le tue labbra e puoi ti muovi in un silenzio assente. Conti le automobili che passano.”

Parole che giunsero al cuore come uno schiaffo, a svegliarmi dal torpore della nebbia che ricopre il cielo, congela i pensieri ed il caffè non riesce a diradare.
La mia attenzione venne catturata da una giovane donna, rapita da quelle parole quanto me. Poggiava il mento su di una mano, ciondolando la testa a ritmo di musica, guardando nella direzione del juke box, come se stesse attendendo una qualche risposta.
Del suo viso, scorsi solo le labbra, che sembravano sfuggire da sotto ad un cappello che nascondeva il capo quasi per intiero, e ne rimasi affascinato.
Cambiavano continuamente espressione, mutanti al timbro della musica, accoccolandosi attorno al suono.
La osservai portare a sé una tazza di caffè fumante con un garbo ed una grazia che difficilmente scorgevo nelle donne moderne ed attendere un impercettibile attimo prima di posarla di nuovo sul tavolo, quasi che ogni movimento dovesse essere posato, vissuto, sentito.
Accavallò le gambe, elegantemente fasciate di nero, accennò appena ad un sorriso, scherzò con una penna che teneva in equilibrio sulle dita e chinò il capo, intenta a trascrivere i suoi pensieri sopra un block notes.

Avrei voluto trasformarmi in parola,
lasciarmi scorrere tra le pagine che da bianche, cambiano colore.
Captare i suoni con l’orecchio della sua anima,
giungere al cuore ed udire un unico, perfetto battito.
Sussurrare alla sua mano di divenire gesto,
condurla a disegnare circoli nell’aria per dipanare il fumo e trasformarlo in luce.
Desideravo che questo sogno ad occhi aperti non avesse mai fine e mi lasciai cullare dalla musica, guardandola alzarsi per sparire nel nulla.

“Non avrei mai trovato il coraggio di seguirla. – mi dissi -
Perché mai? Per porle quale quesito?
Con quale sprezzante motivo di volgerle la parola e turbare i suoi pensieri?
E se si fosse accorta della mia presenza?
E se il mio sguardo si fosse fatto troppo insistente?
Non me lo sarei mai perdonato!”

Decisi di riprendere la via del ritorno, allungando il mio cammino, alla ricerca di un segnale.
Mi sentivo rapito, assorto e abbandonato in un mondo di cui sentivo di non appartenere, come se mancasse qualcosa di me.
Seguitando il mio cammino, la nebbia si rischiarò e mi ritrovai di fronte al mare.
Da bambino, lo raggiungevo ogni qualvolta mi mancasse qualcosa, ogni qualvolta avessi bisogno di rintanarmi nei miei pensieri.
Stavo a rimirarlo per ore e avvertivo che fosse specchio dell’inquietudine di un giovane che si ritrovava a sbattere sugli scogli come un’anima in eterna pena, alla ricerca della propria pace.

Mi ritrovai a pensare alla mia infanzia.
Non avevo tanti amici, anzi, quasi nessuno.
Prediligevo trascorrere il tempo ad osservare la natura, riconoscerne i mutamenti, amarne i colori, i contorni sfumati dal susseguirsi delle stagioni e non avendo soldi per potermi comprare la cultura, mi sentivo fortunato a poter ascoltare le storie degli adulti, con cui crebbi, schivo, al caldo del camino.
Tante furono le figure adulte attorno a me, ma non serbai ricordi che per la nonna, il calore protettivo del ventre materno, finché la terra non la strappò via e ritornò, spirito tra gli spiriti.
Sovente mi parve di rincontrarla in sogno, quando i pensieri divenivano buio e all’ombra della mia cameretta, le coperte calde la sostituivano.

Percorsi il medesimo tragitto del giorno prima ed i gesti inconsci della giovane donna mi riapparvero davanti agli occhi come se la sua presenza fosse un’apparizione: il modo di riporre dietro l’orecchio una ciocca ribelle dei suoi lunghi capelli castani, l’intrecciare le dita sotto il mento, per appoggiarvi la testa, eternamente immersa nei propri pensieri, l’allungare le gambe sotto il tavolo, stirandole leggermente di lato.
Ogni sua movenza mi era famigliare e nonostante non avessi potuto connotare i suoi lineamenti con precisione, la sua andatura leggera ed austera, mi rimandava alle giovani madri di un tempo, spesso a capo, solitarie e severe, di un’intera famiglia e maturate troppo presto, per aver fatto a tempo a conoscere i fasti della gioventù spensierata, la levità dei primi rossori, la passione del corteggiamento.
Avrei voluto incontrarla ancora, per scoprire cosa mi avesse inquietato a tal punto da voler dissipare l’alone di mistero che l’avvolgeva.
Avevo compreso che conoscere quanto celasse in sé, appartenesse al mio vissuto e avevo il dovere di scoprire, finalmente, la storia della mia vita.

Ripercorsi la mia infanzia daccapo, come se la vivessi una seconda volta e mi rividi, eternamente solitario, a rimirare i colori delle giornate che passavano, delle nuvole che giocavano a rimpiattino con il sole e lo ricoprivano, finché non trovava spazio nel cielo per ritornare alla luce.
E quando il cielo si tingeva di rosa, stavo col naso attaccato al vetro, attendendo che la luna venisse a salutarmi.
I miei amici erano la natura, il cielo, il sole, il mare ed il vento, a risvegliare la mente assopita e divenuto ormai adulto, a lenire il dolore della solitudine.
Cosicché divenne la mia unica compagna, allorquando i vecchi alimentarono in me la saggezza derivata dalla sofferenza ed essi stessi riconobbero nei giovani, col trascorrere delle stagioni della vita, la perdita di amore per le persone, per il luogo natio e per i derelitti.
Di conseguenza, decisi di allontanarmene e di condurre la mia vita alla ricerca di quanto avevo, semplicemente, riposto in un cassetto della memoria, perduto tra i pensieri della quotidiana esistenza.

Il cammino che la vita riserva ad ognuno di noi è fatto solo di ciò di cui abbiamo bisogno.
Rivela i colori che non conosciamo, l’arcobaleno con le giuste sfumature e quando sembra che rechi soltanto dolore, è perché la sofferenza deriva dalla nostra mancanza di armonia.
Quella donna, era solo uno spirito, giunto a ricordarmi chi fossi.
Quelle labbra, erano a me note, ma le avevo come cancellate, relegate in un angolo del mio cuore che avevo chiuso, credevo, per sempre.
Quelle labbra, erano il segno delle mie radici.
Quel sorriso, famigliare come il latte materno, era un luogo della mia mente che mi fu strappato via troppo presto, ma che sarebbe rimasto nei miei gesti, a rimembrarmi i passi che avrei percorso, la terra da cui nacqui, i segni del viso che si sarebbero approfonditi.
Ed ora, che ritorno al mare con più frequenza di un tempo, stranamente, lo vedo calmo, così come la serenità alberga al centro dei miei pensieri.

“Ti proteggerò restando lontano, nel silenzio”.




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