mercoledì 23 maggio 2012

Raffaele Montefusco - Labbra rosse


Quando suonò il campanello Gianluca si stava facendo la doccia; si infilò l’accappatoio e, lasciando una scia gocciolante per tutto il percorso, andò a rispondere al citofono. Era il postino che doveva consegnare una raccomandata “sarà una multa”, pensò, e la prese con familiarità, come se ogni giorno ricevesse delle multe; la posò sul tavolino nel salotto e ritornò a finire la doccia.
Qualche minuto più tardi Gianluca, avvolto nell’accappatoio, era seduto in una poltrona di pelle nera con un bicchiere di Martini dry. La lettera era ancora lì dove l’aveva posata. Solo allora si accorse che la busta era di colore rosa pallido. La prese in mano e la soppesò: era leggera e l’indirizzo era scritto in viola a penna stilografica; la scritta era un po’ sbiadita nei punti dove lui l’aveva toccata con le mani umide.
La ripose sul tavolino senza aprirla, fece tintinnare i ghiaccioli nel bicchiere e bevve una lunga sorsata. Quella lettera lo intrigava. Chi poteva mai spedirgli una busta rosa pallido? Provò mentalmente a fare l’inventario delle sue ultime conquiste. Gianluca piaceva alle donne, per il suo fisico, ma non solo; aveva un modo di ascoltare le cose e una disponibilità innata che lo rendeva prezioso, e spesso le sue amiche gli confidavano i loro segreti e i loro problemi.
La lettera era ancora lì, ma lui non voleva aprirla subito; gli sarebbe piaciuto indovinare chi l’aveva spedita.
Bevve l’ultimo sorso di Martini e incominciò a vestirsi; erano le sette e quella sera aveva un appuntamento con Paola, una ragazza che aveva conosciuto al circolo della Croce Verde e a cui teneva molto. Lei aveva resistito parecchio tempo prima di concedergli una cena. Gianluca aveva prenotato in un ristorante di Recco, la Manuelina, e doveva passare a prenderla sotto casa sua, a Sturla alle otto.
Indossò una camicia bianca e un vestito di lino blu, senza cravatta, e si guardò soddisfatto allo specchio; questo gli restituì l’immagine di un uomo tra i trenta e i quarant’anni, con i capelli di colore biondo scuro e gli occhi marroni, alto quasi un metro e ottanta.
Lasciò la lettera sul tavolino. L’avrebbe aperta al suo ritorno. Scese in garage a prendere la Saab e si diresse verso la casa di Paola; mancava ancora un quarto alle otto e aveva tutto il tempo di guidare con calma.
Quando Gianluca giunse in prossimità delle case colorate di fronte al mare, dove abitava Paola, lei non era ancora scesa. Spense il motore, scese dall’auto e si accese una sigaretta; aveva appena gettato il mozzicone che lei arrivò: indossava un vestito di raso verde e aveva la borsa e le scarpe col tacco dello stesso colore; i capelli castani, leggermente arricciati, le scendevano sulle spalle. Ma la cosa che colpì Gianluca erano le labbra, belle, carnose, messe in evidenza da un rossetto di colore carminio intenso.
Si salutarono e si avviarono verso Recco.

Gianluca stava percorrendo la strada del ritorno passando per la costa. Aveva messo un disco di Coltrane e guidava lentamente, gustandosi il ricordo dell’ottima cena a base di pesce, dei sorrisi di Paola e delle miriadi di luci che si riflettevano sul mare e che ora gli correvano incontro.
Paola si era confidata con lui e gli aveva raccontato della sua ultima storia andata male: aveva convissuto per un anno con un uomo di dieci anni più vecchio di lei, che beveva, e che spesso tornava a casa ubriaco; era un tipo nervoso e violento e qualche volta erano venuti alle mani. Per questa ragione lei non voleva più mettersi con gli uomini; almeno per qualche tempo. Gianluca l’aveva ascoltata come faceva di solito, con la massima attenzione, socchiudendo gli occhi, come se volesse fare filtrare le parole attraverso le ciglia… e Paola aveva parlato e parlato… non le sembrava vero di avere un interlocutore così attento… e così bello…
A Sturla si salutarono con un semplice bacio. Poi Gianluca tornò a casa: pensava alla lettera rosa.
Posteggiò l’auto in garage e salì nel suo appartamento; ancora vestito com’era si versò un bicchiere colmo di whisky con ghiaccio e, dopo aver messo la musica di Cesaria Evora si sedette in poltrona. Riprese la busta in mano, la guardò di nuovo con attenzione e la annusò: gli parve di sentire un leggero profumo, ma non ne era sicuro. La aprì: estrasse un foglio rosa piegato in tre.
Lo guardò e lo svolse: sulla carta liscia e leggermente odorosa c’erano stampate delle labbra rosse. Una donna aveva appoggiato le sue labbra e sulla lettera ne era rimasta l’impronta nitida e tumida. Non c’era nient’altro. Nemmeno una parola, un nome, una firma, nulla.
Gianluca si soffermò a guardare l’immagine e tutto quello che questa rappresentava: il sorriso, l’amore, il desiderio, il piacere… ma di chi erano quelle labbra morbide dalla linea perfetta? Di certo di una donna che conosceva…
Riprese in mano la busta: la raccomandata proveniva da Genova; ovvio, la città nella quale lui viveva… Guardò la rubrica della sua agendina: chi poteva mai essere? Alba no, aveva labbra troppo sottili e poi non era il tipo da fare una cosa del genere. Avrebbe potuto essere Margherita, ma con lei aveva litigato; ripicca? No, ci avrebbe giurato. Ripassò per ben tre volte tutta la rubrica bevendo tre bicchieri di whisky. Poi il lampo, l’intuizione. Sì, era credibile… molto probabile… e perché no?

Qualche giorno dopo Gianluca e Paola stavano bevendo l’aperitivo a Nervi, in un bar a picco sulla scogliera. Paola non aveva rossetto ed  era ancora più bella. Parlavano del più e del meno, ma lei aveva gli occhi lucidi: quell’uomo le piaceva molto; raramente aveva conosciuto qualcuno con quel fascino. Gianluca aveva ordinato un Pigato della Riviera di ponente e lo sorseggiava lentamente, per estrarne tutto l’aroma.
Ad un certo punto si mise a guardare la donna: lei rispose al suo sguardo con un tenero un battito di ciglia e con le labbra turgide che tremavano leggermente; allora le disse: «Ora lo so: sei stata tu».
La donna non rispose; lo guardò ancora negli occhi e poi sorrise. L’istante successivo Gianluca sentì il calore umido delle labbra di lei e capì di avere indovinato.

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