mercoledì 23 maggio 2012

Bruno Bianco - Le due parti


Uscendo dal bar il commissario Fortunato si prese in faccia l’ aria gelida della serata dicembrina, ma lui sapeva bene che non gli avrebbe fatto nessun effetto; non era la prima donna che vedeva con i polsi tagliati e non sarebbe certo stata l’ ultima. Quello che doveva fare l’ aveva fatto e poteva rientrare in ufficio; sarebbero rimasti i suoi uomini a fare i rilievi per la burocrazia e il dottore ha studiare i termini medici giusti per dire che la poverina si era uccisa con le proprie mani nei bagni di un elegante caffè del centro.
Lui adesso doveva fare spazio agli altri casi e archiviare questo come il solito suicidio senza responsabili; anche se se lo sapeva bene che da qualche parte sulla faccia della terra doveva esserci un uomo che era stato il vero motore delle azioni di quella povera donna, perché c’è sempre un uomo così quando una donna decide di superare l’ ultima barriera dello sconforto. In genere non puoi metterti a fare indagine specifiche per cercare un fantasma, ma questa volta c’ era qualche elemento in più; in fondo quella fotografia avrà ben voluto dire qualcosa, perché una non si ammazza senza motivo tenendo tra le mani la foto di quando era una ragazzina. Senza dimenticare il racconto dell’ amica sulla vittima appena tornata da una crociera dove aveva voluto andare da sola, diceva, per rimettere in ordine i pensieri della sua vita; e doveva esserci riuscita perche la sua amica era sicura di non averla mai vista così serena e di buon umore come dopo il ritorno dal viaggio.
Il commissario prese dalla tasca la bustina trasparente con quell’ immagine un po’ sfuocata e cercò di immaginarsi la ragazzina della fotografia e la donna dai polsi tagliati in un unico corpo che cammina sul ponte di una nave da crociera….

Mi sembra che la nave abbia lasciato il porto solo da pochi minuti e invece già non riesco più a vedere la costa; non ero mai stata in crociera prima d’ ora e forse devo solo abituarmi al diverso scorrere del tempo di quando sei in vacanza. Mi stacco dal parapetto e mi guardo intorno sul ponte; lui non si vede, allora guardo verso l’ ingresso del salone… ah sì, eccolo! Sta entrando per la cena e come lo vedo scendo di corsa dalla scala per raggiungere anch’ io i tavoli di quella sala enorme. Mi hanno sistemato con quattro giovanotti vestiti come Christian De Sica in un film dei Vanzina e tre ragazze che avranno speso metà del loro patrimonio dal parrucchiere e l’ altra metà per una scorta industriale di balsamo e fissante per capelli; penso proprio di essere finita in un tavolo di single che gli organizzatori hanno deciso di far accoppiare prima che venga il mattino. Cerco di non farmi notare e per la centesima volta da quando siamo partiti apro la mia trousse di raso e controllo di non aver dimenticato niente…
-Come mai una giovane e carina come te va in crociera da sola? Non hai un marito, un fidanzato o anche solo uno spasimante?-
-Tutti quelli che avevo mi hanno lasciato per andare in crociera da soli a fare i cascamorti con le donne che incontrano al loro tavolo!-
E con questo i giovanotti sono sistemati; adesso devo mettere in riga le signorine che sanno parlare solo di vacanze a Porto Cervo e di vita notturna nelle discoteche di Milano.
-Non dirmi che non sei mai stata all’ Hollywood di Milano; la bella gente che trovi lì alle quattro del mattino non la vedi da nessun altra parte.-
-E tu non dirmi che non sei mai stata ai Mercati Generali di Torino; la gente che scarica le cassette di frutta alle quattro del mattino la vedi anche dalle altre parti, ma forse tu hai orari differenti da loro.-
E adesso che le mie compagne e i miei compagni di tavolo parlano tra loro ignorando del tutto la mia presenza, io posso finire con tranquillità il dolce senza smettere di controllare cosa capita dalla parte opposta della sala.
Poi lo vedo alzarsi, salutare con eleganza i suoi compagni di tavolo e dirigersi verso il fondo del salone; allora mi alzo anch’ io facendo cadere il tovagliolo che tenevo sulle ginocchia e saluto con un grugnito i miei compagni di tavolo.
Lui esce dal salone e io lo seguo tenendomi a una decina di metri; prende le scale del ponte, sale di un piano e io sempre dietro. Mi sembra un instancabile camminatore, o forse un anima in pena, o forse tutte e due le cose. Sale ancora di un piano e sul ponte si dirige verso prua; io sto controllando a fatica il fiatone che mi è venuto un po’ per lo sforzo e un po’ per la paura che mi possa vedere. Finalmente si ferma a guardare l’ acqua nera della notte, appena appoggiato al parapetto che lo separa dal mare. E’ il mio momento; decido di usare un vecchio e banale trucco da film che si adatta perfettamente alla finzione della vita di crociera.
-Mi scusi ma a forza di camminare in questo labirinto devo essermi persa; può essere così gentile da aiutarmi a ritornare al salone della festa?-
Lui si volta di scatto tra lo stupito e l’ infastidito; certo che è davvero un bell’ uomo e i capelli sale e pepe dei suoi sessant’ anni lo rendono ancora più attraente.
-Torni indietro da questo lato e prenda la prima scala che incontra sulla sinistra; scenda di due piani e vedrà sulla destra le luci del salone.-
A quel vecchio corso di recitazione che avevo fatto ai tempi del liceo ho imparato che per piangere basta pensare con intensità a una situazione di grande impatto emotivo e io non faccio fatica a farlo.
-La ringrazio e mi scusi se l’ ho disturbata.-
I miei occhi sono ormai lucidi e lui non può non notare le lacrime che stanno annacquando il rimmel che avevo messo con tanta cura prima della cena.
-Si sente bene  signorina? Forse è meglio che aspetti un attimo prima di rientrare nel salone.-
-Non è niente di grave. E’ solo che forse non è stata una buona idea venire in crociera da sola per lasciarmi alle spalle i segni di ferite troppo recenti.-
Ormai le lacrime mi attraversano spietate le guance e mi lasciano ridicole strisciate di rimmel dagli occhi fino al collo; ma l’ importante è aver scardinato la freddezza di quell’ uomo così affascinante.
-Prenda il mio fazzoletto; non le servirà per le sue ferite recenti, ma almeno la leverà dall’ imbarazzo di farsi vedere in questo stato da un perfetto sconosciuto quale io sono per lei.-
Affascinante e gioviale; sono sempre più convinta che sto facendo la cosa giusta. Adesso lui si presenta e in pochi minuti ho già messo via il fazzoletto sporco di rimmel che prometto di rendergli nella giornata di domani; si stacca dal parapetto e mi dice che anche lui è da solo in crociera per lasciarsi alle spalle delle ferite recenti come le mie e che non è il caso di aggiungere sofferenza a quella che altri hanno già creato. Parliamo e camminiamo; camminiamo e parliamo. Restiamo sempre nella parte più periferica della nave perché a me non va di incontrare gente, di vedere luci, di sentire musica; lui lo ha capito e mi cammina di fianco come chi vuole proteggerti dai pericoli che ti stanno intorno. Dopo avere disceso e salito decine di scale esterne della nave, adesso siamo uno di fronte all’altra in quello che nella mia ignoranza nautica chiamo il piano terra della nave; alla nostra destra il parapetto ci protegge dal mare e riusciamo a vedere con chiarezza le onde grazie alla luce generosa che la luna spande tutto intorno.
-Sono più delle due! Saremo anche in crociera, ma come prima serata direi che può andare.-
-Se le andasse, domani sarei davvero lieto di pranzare con lei.-
-In questo momento non me la sento di prendere impegni per la colazione, figuriamoci per il pranzo. Se vuole però mi lasci il suo numero di cellulare; prometto di chiamarla prima di mezzogiorno.-
Apro la mia trousse di raso anche se so bene di non avere dentro né la biro né un foglio di carta, ma tanto lo so che sarà così premuroso da pensare lui sia al foglio sia alla biro; scrive il numero sul biglietto e adesso che me lo porge è davvero vicino, mentre i suoi occhi mi lanciano uno sguardo che sa essere allo stesso tempo paterno e sensuale. Io continuo ad armeggiare nella trousse, ma sento che ormai ho deciso; la sua faccia mi è vicina,  i suoi occhi mi sono vicini, la sua bocca mi è vicina…
Mi sveglio che la cabina è illuminata da un sole avanzato; guardo l’ ora e vedo che è quasi mezzogiorno. I miei vestiti sono buttati alla rinfusa sulla poltrona; faccio la doccia e mi vesto con una lentezza che non ricordo di avere mai avuto. Prima di uscire per il pranzo ho ancora un’ incombenza da fare; apro la trousse e mi assicuro che ci sia ancora la bomboletta spray con l’ etere. Gliene ho fatto respirare più di metà, come quando continui a spruzzare l’ insetticida sullo scarafaggio anche se vedi che è già completamente stecchito; d’ altronde per prenderlo di peso e buttarlo in mare al di là del parapetto non potevo permettermi che fosse tanto sveglio. Sono anche soddisfatta perché prima che crollasse ho potuto urlargli nelle orecchie il mio nome in modo che capisse bene chi ero; poi la luna ha illuminato quel corpo che nel vuoto ha fatto quattro giri su se stesso prima di sbattere sull’ acqua dura del mare.
Il primo è per tutte le volte che è entrato nel mio letto dicendo che la mamma era molto contenta che lui mi mettesse le mani dentro le mutandine.
Il secondo è per tutte le volte che è uscito dalla mia stanza per rientrare nel letto della mamma e fare l’ amore con lei che pensava quanto era stata fortunata ad aver trovato un uomo così affettuoso  dopo un matrimonio tanto disgraziato.
Il terzo è per tutte le volte che si è ripetuto con altre bambine di dieci anni, figlie di donne vedove o divorziate sedotte da un uomo che quando si stufava delle figlie non aveva più nessun motivo per restare con le madri.
Il quarto è per tutte le volte che in questi quindici anni ho dovuto aspettare prima di trovare l’ occasione giusta, perché non vale la pena finire in galera per aver schiacciato uno scarafaggio e siccome il delitto perfetto non esiste bisogna avere la pazienza di aspettare  l’ occasione buona che nella vita prima o poi arriva, visto che c’ è sempre una giustizia a questo mondo.
-Non vorremmo disturbarti, ma avremmo qualcosa da dirti.-
Ad aspettarmi sul ponte ci sono i quattro giovanotti a scusarsi per il comportamento alla cena della sera prima e a invitarmi a un aperitivo tutti insieme prima del pranzo.
-Non volevamo infastidirti con i nostri discorsi insulsi di ieri sera, ma ci siamo fatte un po’ prendere dal clima di festa che c’ è tutto intorno.-
Anche le tre ragazze nella notte sembrano aver riflettuto sulle regole della buona creanza e mi chiedono di non mancare all’ aperitivo.
Io accetto le scuse di tutti e do appuntamento ai tavolini del bar tra qualche minuto; me li lascio alle spalle e vado oltre, nel punto esatto dove stanotte si è chiusa la prima parte della mia vita. Apro la trousse di raso, prendo la bomboletta che ho usato da insetticida e la butto lontano tra le onde del mare; mentre chiudo la cerniera vedo che è rimasto il biglietto dove aveva scritto il suo numero di telefono. Lo prendo e inizio stracciarlo con ordine e rigore, in due, in quattro, in otto; poi apro il pugno e i ritagli iniziano a cadere nel vuoto, oscillando con precisa lentezza. Resto a guardare fino a che anche l’ ultimo coriandolo non scompare nello strato più profondo dell’ acqua dura del mare; chiudo la trousse, guardo la ragazzina di quella fotografia che tengo da vent’ anni nelle mie borsette e quasi senza accorgermene sorrido.
La prima parte della mia vita, quella passata annegando nelle onde molli, finisce; adesso inizio la seconda, quella che si appoggerà sull’ acqua dura del mare.

Il commissario Fortunato rimise la bustina trasparente nella tasca e decise in un momento. La prima parte dell’ indagine, quella passata annegando nelle onde molli della routine, finisce stasera; domani inizierà la seconda, quella che si appoggerà sull’ elenco dei partecipanti di una crociera. E se un uomo esiste lui lo farà uscire. Vivo o morto. 

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